Via (דֶּרֶךְ derek)

Voi dite: «Non è retto il modo di agire del Signore». Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? (Ez 18,25)

וַאֲמַרְתֶּ֕ם לֹ֥א יִתָּכֵ֖ן דֶּ֣רֶךְ אֲדֹנָ֑י שִׁמְעוּ־נָא֙ בֵּ֣ית יִשְׂרָאֵ֔ל הֲדַרְכִּי֙ לֹ֣א יִתָּכֵ֔ן הֲלֹ֥א דַרְכֵיכֶ֖ם לֹ֥א יִתָּכֵֽנוּ׃

Et dixistis: “Non est aequa via Domini”. Audite ergo, domus Israel: Numquid via mea non est aequa, et non magis viae vestrae pravae sunt?

Via (דֶּרֶךְ derek), questo sostantivo apparentemente ordinario, in ebraico ha una gamma molto ampia di significati e usi: “viaggio”, “comportamento”, “modo di condotta o di vita”, “abitudine” e persino “destino”. Anche la “storia della salvezza” può essere definita “la via della salvezza”. Dio, il creatore della saggezza, è fortemente interessato al buon esito del movimento vitale dell’uomo, ma spesso accade che una persona vada per la sua strada e si allontani dalla felicità e dalla bontà. Vale la pena notare che il profeta Ezechiele ha fatto della “via”, intesa come “condotta di vita”, un tema profetico. 

Infatti, nella prima lettura di oggi (Ez 18,25-28) Israele critica Dio per il Suo comportamento (דֶּרֶךְ derek) sbagliato e in risposta sentiamo la voce di Dio che, per bocca del profeta, pone una domanda a Israele: “Il mio modo di agire (דֶּרֶךְderek) è sbagliato? oppure la tua condotta (דֶּרֶךְ derek) è perversa?” Come abbiamo certamente notato, Ezechiele usa la parola “via” quando parla del comportamento di Dio e dell’uomo, usandola ben 6 volte in sole due frasi. Il brano si conclude con una luce di speranza, perché chi si allontanerà dalla sua via malvagia, vivrà. Bisogna notare che nel v. 23, che precede il nostro brano, Dio dice: “Forse mi compiaccio della morte dell’empio? Convertendosi dalla sua condotta forse non vivrà?”. È interessante che nell’originale ebraico, al posto del verbo “convertendosi dalla sua condotta” troviamo l’espressione “tornando dalla sua via”. 

Il Vangelo di oggi (Mt 21,28-32) contiene le parole di Gesù su Giovanni Battista, il quale, come dice lui, venne in Israele «per la via della giustizia» e il suo popolo non gli credette, ma credettero i pubblicani e le prostitute. Israele ha visto i peccatori convertirsi grazie a Giovanni, ma gli Israeliti non hanno nemmeno pensato a cambiare vita, motivo per cui i pubblicani e le prostitute entreranno per primi nel Regno dei cieli. Spesso è difficile anche per noi, accecati dalle nostre stesse convinzioni, trovare la via di Dio, per questo vale la pena pregare con le parole del Salmo di oggi (Sal 25): “Fammi conoscere, Signore, le tue vie (דֶּרֶךְ derek), insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella verità e istruiscimi, Dio e Salvatore, io spero in Te”.

Tunica (χιτών chitōn)

Disse loro: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone né borsa né pane né soldi né due tuniche per ciascuno. (Lc 9,3)

καὶ εἶπεν πρὸς αὐτούς, Μηδὲν αἴρετε εἰς τὴν ὁδόν, μήτε ῥάβδον μήτε πήραν μήτε ἄρτον μήτε ἀργύριον μήτε [ἀνὰ] δύο χιτῶνας ἔχειν.

et ait ad illos nihil tuleritis in via neque virgam neque peram neque panem neque pecuniam neque duas tunicas habeatis.

Al battesimo ero rivestito di Cristo, quindi perché ho bisogno di un secondo indumento?

Dare (δίδωμι didōmi)

Fate attenzione, dunque, a come ascoltate: perché a chi ha sarà dato, a chi invece non ha sarà tolto anche quello che crede di avere. (Lc 8,18)

Βλέπετε οὖν πῶς ἀκούετε· ὃς ἂν γὰρ ἔχῃ, δοθήσεται αὐτῷ· καὶ ὃς ἂν μὴ ἔχῃ, καὶ ὃ δοκεῖ ἔχειν ἀρθήσεται ἀπʼ αὐτοῦ.

Videte ergo quomodo audiatis: qui enim habet, dabitur illi; et, quicumque non habet, etiam quod putat se habere, auferetur ab illo.

Il Vangelo ci sorprende costantemente con un nuovo ordine. Il padrone della vigna rese uguali tutti i mercenari. Chi aveva 10 talenti ne ricevette uno in più. Il padre misericordioso ricoprì di gentilezza il figliol prodigo. Oggi, chi ha, otterrà di più. Tutto questo va oltre la nostra immaginazione, oltre le nostre misure di giustizia. C’è un’altra sorpresa. Si tratta di togliere ciò che si pensa di avere. Cosa puoi togliere a qualcuno che non ha? Forse il punto è che gli verrà tolta l’illusione del possesso. In questo caso è salutare. Non puoi costruire la tua vita su un’illusione perché prima o poi verrà smascherata. La verità del Vangelo ci liberi da ciò che immaginiamo e ci dia la luce per vedere la vera dotazione.

Cercare (דָּרַשׁ dāraš)

Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. (Is 55,6)

דִּרְשׁ֥וּ יְהוָ֖ה בְּהִמָּצְאֹ֑ו קְרָאֻ֖הוּ בִּֽהְיוֹתֹ֥ו קָרֹֽו׃

Quaerite Dominum, dum inveniri potest; invocate eum, dum prope est.

Cercare (דָּרַשׁ dāraš) in ebraico significa anche “investigare”, “informarsi”, “chiedere”, “studiare”, “consultare”, “rivolgersi” o “prendersi cura”. Il significato di questo verbo dal campo semantico così ampio dipende dal contesto in cui si presenta e determina le diverse sfumature del suo senso. Questo verbo richiede un complemento, che può essere anche qualcosa di astratto, come giustizia o pace. In ogni caso, questo verbo contiene il significato di attività, azione, dinamismo. L’azione del verbo דָּרַשׁ (dāraš) si compie solo quando realizza ciò che sta cercando. Stupisce che l’uso teologico di questo verbo sia più frequente di quello comune e il più delle volte il soggetto di דָּרַשׁ (dāraš) è l’uomo e il complemento, cioè l’oggetto della ricerca, è Dio. 
L’espressione יהוה דָּרַשׁ (dāraš YHWH), che appare nell’odierna prima lettura (Is 55,6-9), in senso teologico definisce l’atteggiamento fondamentale della lealtà e dell’attenzione. Dio risponde a questo atteggiamento con la propria lealtà e si lascia trovare. Va notato che questa espressione occupa un posto importante negli insegnamenti dei profeti. Infatti, Isaia grida: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino” (Is 55,6), e attraverso il profeta Amos Dio dice similmente: “Cercatemi e vivrete” (Am 5, 4). Dio stesso dice anche attraverso Isaia che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie”, il che significa che è necessario che l’uomo cerchi Dio. Cercare Dio, quindi, significa conoscere e assumere la mentalità di Dio nella sua libera e gratuita generosità. Isaia invita alla conversione, perché Dio è generoso nel perdono.  
Ma il vangelo di oggi (Mt 20,1-16) mostra il volto generoso di Dio anche nel donare: “Amico, io non ti faccio torto; Non sei stato d’accordo con me per un denaro – dice il padrone di casa nella parabola di Gesù – anch’io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare con le mie cose ciò che voglio? Oppure sei invidioso perché io sono buono?”. Che tutti noi possiamo non solo “cercare Dio”, ma anche accogliere e saper godere della sua generosità.

Parlare (λαλέω laleō)

Il morto si levò a sedere e si mise a parlare. Ed egli lo restituì alla madre. (Lc 7,15)

καὶ ἀνεκάθισεν ὁ νεκρὸς καὶ ἤρξατο λαλεῖν, καὶ ἔδωκεν αὐτὸν τῇ μητρὶ αὐτοῦ.

Et resedit, qui erat mortuus, et coepit loqui; et dedit illum matri suae. 

La prima azione del giovane dopo la risurrezione fu la parola. Non sappiamo di cosa stesse parlando. Il fatto stesso di parlare dimostra che il ritorno alla salute, alla vita, è completo. Colui i cui occhi e la cui bocca furono chiusi dalla morte ora è di nuovo vivo. Gesù lo dona a sua madre. Lei riconquistato ciò che secondo la logica umana aveva perso irrimediabilmente. Può parlargli di nuovo, ridere e stare con lui. La parata della morte è stata fermata. Adesso la vita torna in città, in casa. Il nome di questa città porta con sé un messaggio importante perché significa “bellezza”. La bellezza della vita è un dono inestimabile di Dio.

Medico (רֹפֵא rōfē’)

Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità (Sal 103,3)

הַסֹּלֵ֥חַ לְכָל־עֲוֹנֵ֑כִי הָ֝רֹפֵ֗א לְכָל־תַּחֲלֻאָֽיְכִי׃

Qui propitiatur omnibus iniquitatibus tuis, qui sanat omnes infirmitates tuas

Medico (רֹפֵא rōfē’), in ebraico è il participio attivo del verbo “curare o guarire” (rf’), che significa anche “salvare”, “guarire”. Il significato letterale del participio è quindi “curante”, “guarente”.

Nell’odierno Salmo responsoriale (Sal 103), il salmista benedice il Signore, perché Egli «perdona tutti i tuoi peccati e guarisce (רֹפֵא rōfē’) tutte le tue malattie» (v. 3). Il verbo “guarisce”, nell’originale ebraico, come sappiamo, significa “medico”. Lui, Dio è il tuo “medico”, il tuo “curante”. Proprio in questo modo Dio parla di sé a Israele dopo l’attraversata del Mar Rosso, nella notte di Pasqua: «Io sono il Signore, tuo medico (rōfē’)», Es 15,26. È importante notare che nel Salmo 103, l’azione di Dio è descritta attraverso i due participi “perdonante” (sōlēah) e “guarente” (rōfē’). La connessione tra queste due attività indica dipendenza reciproca, il che significa che senza perdono non c’è guarigione. 

Un approccio simile è presentato nel Siracide della prima lettura (Sir 27,30-28,7). L’autore non solo collega il perdono di Dio dei nostri peccati con il nostro perdono agli altri che ci hanno offesi, ma dice anche: “Chi conserva l’ira contro un altro uomo, come può cercare la guarigione dal Signore?” Ognuno di noi desidera la guarigione spirituale e fisica, ma per accettare tale guarigione occorre la disponibilità a perdonare, cioè a sanare il rapporto con l’altra persona. 

Allo stesso modo Gesù nel Vangelo (Mt 18) alla domanda dell’impaziente Pietro: “Signore, quante volte devo perdonare, sette?”, come per dire “ci sono i limiti alla santa pazienza?”, Gesù risponde: “Non ti dico sette volte, ma settanta volte sette”, che significa “sempre”. Perdonando gli altri, ci liberiamo dal risentimento e dalla rabbia che spesso ci distruggono dal di dentro. Il perdono è una forma di guarigione che Dio, il nostro רֹפֵא (rōfē’) – “medico”, opera in noi.

Dovere (δεῖ dei)

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo. (Gv 3,14)

καὶ καθὼς Μωϋσῆς ὕψωσεν τὸν ὄφιν ἐν τῇ ἐρήμῳ, οὕτως ὑψωθῆναι δεῖ τὸν υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου.

et sicut Moses exaltavit serpentem in deserto ita exaltari oportet Filium hominis.

Dal Vangelo di oggi possiamo concludere che la morte del Signore Gesù è stata necessaria per l’Opera della Salvezza. La parola δεῖ suggerisce un certo completamento di ciò che è necessario per raggiungerlo. Inoltre, l’origine stessa di questa parola è piuttosto importante, perché δέω significa unire, legare qualcosa. Lui che è Vita, ha sperimentato anche la morte, affinché potessimo riconquistare la vita eterna. Tutto è completato in questo modo.

Esultare (σκιρτάω skirtaō)

Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa è di certo grande nei cieli. Allo stesso modo, infatti, si comportavano i loro padri con i profeti. (Lc 6,23)

χάρητε ἐν ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ καὶ σκιρτήσατε, ἰδοὺ γὰρ ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τῷ οὐρανῷ· κατὰ τὰ αὐτὰ γὰρ ἐποίουν τοῖς προφήταις οἱ πατέρες αὐτῶν.

gaudete in illa die et exultate ecce enim merces vestra multa in caelo secundum haec enim faciebant prophetis patres eorum.

La reazione non è affatto sorprendente perché sono diventato come il mio Signore, quindi come posso non saltare di gioia.

Dare il nome (ὀνομάζω onomadzō)

Fattosi giorno, chiamò a sé i suoi discepoli, ne scelse dodici e diede loro il nome di apostoli. (Lc 6,13)

καὶ ὅτε ἐγένετο ἡμέρα, προσεφώνησεν τοὺς μαθητὰς αὐτοῦ, καὶ ἐκλεξάμενος ἀπʼ αὐτῶν δώδεκα, οὓς καὶ ἀποστόλους ὠνόμασεν.

Et cum dies factus esset, vocavit discipulos suos: et elegit duodecim ex ipsis quos et Apostolos nominavit.

Nominare una cosa o un fenomeno significa conoscere l’essenza della questione o qualche aspetto di essa. Dare il nome può avere un’altra dimensione. Si tratta di dare un’identità, non solo di scoprirla. Il Signore disse a Pietro: Tu sei Simone, il tuo nome sarà Pietro. Quando il Signore Gesù mi chiama oggi, lo fa per nome. Pronunciando Il mio nome, Egli vede chi sono e chi devo diventare nel potere della Sua Parola.

Fare del bene (ἀγαθοποιέω agathopoieō)

Poi Gesù disse loro: Vi domando: è permesso in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla? (Lc 6,9)

εἶπεν δὲ ὁ Ἰησοῦς πρὸς αὐτούς· ἐπερωτῶ ὑμᾶς εἰ ἔξεστιν τῷ σαββάτῳ ἀγαθοποιῆσαι ἢ κακοποιῆσαι, ψυχὴν σῶσαι ἢ ἀπολέσαι;

Ait autem ad illos Iesus: Interrogo vos, si licet sabbato bene facere an male; animam salvam facere an perdere?

Il bene alla fine viene da Colui che è buono. Possiamo scrivere e riflettere su ciò che è buono, ma il bene stesso richiede che lo facciamo. Allora il bene non è solo nella sfera dei desideri e delle aspettative. Il verbo greco è composto da due parole: bene e fare. Chi fa il bene, coinvolge le proprie forze, capacità, intelletto e cuore. In questo modo, l’uomo stesso diventa buono e in lui si realizza la chiamata del Vangelo: Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.

Sentinella (צֹפֶה ṣōfeh)

O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. (Ez 33,7)

וְאַתָּ֣ה בֶן־אָדָ֔ם צֹפֶ֥ה נְתַתִּ֖יךָ לְבֵ֣ית יִשְׂרָאֵ֑ל וְשָׁמַעְתָּ֤ מִפִּי֙ דָּבָ֔ר וְהִזְהַרְתָּ֥ אֹתָ֖ם מִמֶּֽנִּי׃

Te autem, fili hominis, speculatorem dedi domui Israel. Audiens ergo ex ore meo sermonem, commonebis eos ex me.

Sentinella (צֹפֶה ṣōfeh), questa parola è il participio attivo del verbo ṣāfāh, che significa “svegliarsi”, “essere attento a” (affinché non succeda nulla di male), “guardare fuori”, “vegliare”, “vigilare”, “custodire”. Il participio attivo צֹפֶה (ṣōfeh) è spesso usato nella Bibbia per descrivere l’attività svolta da una “pattuglia” che prende posizione su una piattaforma e sorveglia la zona, osservando l’avvicinarsi di un nemico o di un messaggero. Un’altra attività delle “sentinelle” era quella di dare l’allarme in una situazione pericolosa, ad esempio suonando un corno (shofar). 

Nella prima lettura di oggi (Ez 33,7-9), Dio dice al profeta Ezechiele di averlo costituito “sentinella” (צֹפֶה ṣōfeh) “nella casa d’Israele, affinché, quando sentirai un ammonimento dalla mia bocca, tu dovrai avvertirli da parte mia.” Il compito di Ezechiele come profeta era, quindi, quello di avvertire i peccatori, i malvagi di abbandonare la loro via tornando indietro, ravvedendosi, e così essere salvati dalla morte. 

Anche il Vangelo di oggi offre parole di ammonimento (Mt 18,15-20). Il Signore Gesù ordina ai suoi discepoli: “Se tuo fratello pecca contro di te, vai e rimproveralo in privato”. Il discepolo di Gesù deve porsi come “sentinella” verso gli altri, mettendoli in guardia dai pericoli. Ammonire, come vediamo, in questo contesto, non significa “vendicarsi” sulla persona che mi fa del male, ma metterla in guardia rendendola consapevole del male che compie. L’autorità che il Signore Gesù dà ai suoi discepoli di decidere delle nostre vicende umane, di “legarle o scioglierle”, è una funzione profetica, come quella di una pattuglia, di una “sentinella” che vigila con attenzione alle minacce e ci mette in guardia contro di esse. Questo grande potere della sentinella si esprime nella preghiera. I cristiani che pregano insieme hanno il potere di rendere presente Gesù in mezzo a loro e per questo di ricevere qualunque cosa da Dio che ascolta il suo Figlio. L’unica condizione è di “mettersi d’accordo” su cosa chiedere, a garanzia della legittimità e opportunità della richiesta da parte di tutta la comunità.

Libro (βίβλος biblos)

Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. (Mt 1,1)

Βίβλος γενέσεως Ἰησοῦ Χριστοῦ υἱοῦ Δαυὶδ υἱοῦ Ἀβραάμ.

Liber generationis Iesu Christi filii David, filii Abraham.

La genealogia di Gesù indica le sue origini divine e messianiche. Il libro che apriamo oggi porta nei suoi versetti la Parola viva. Anche la nostra storia è lì. La Parola legge la nostra vita e in Lui è la nostra genealogia, il nostro inizio e meta. La Parola indica che diventiamo figli e figlie del Padre che è nei cieli.

Stupore (θάμβος thambos)

Infatti Pietro e tutti quelli che erano con lui furono presi da grande stupore per la gran quantità di pesci che avevano pescato. (Lc 5,9)

θάμβος γὰρ περιέσχεν αὐτὸν καὶ πάντας τοὺς σὺν αὐτῷ ἐπὶ τῇ ἄγρᾳ τῶν ἰχθύων ὧν συνέλαβον.

stupor enim circumdederat eum et omnes qui cum illo erant in captura piscium quam ceperant.

A volte l’esperienza di una sorta di paralisi cognitiva può portare a una riflessione più profonda. Quando incontriamo qualcosa di nuovo e inaudito, abbiamo la possibilità di aprirci a una realtà che ci supera. Indubbiamente la meraviglia (θάμβος) è il primo passo verso la conoscenza.

Solitario (ἔρημος erēmos)

Fattosi giorno, uscì e si ritirò in un luogo solitario, ma una gran folla lo cercava. Lo trovarono e volevano tenerlo sempre con loro, senza mai lasciarlo partire. (Lc 4,42)

Γενομένης δὲ ἡμέρας ἐξελθὼν ἐπορεύθη εἰς ἔρημον τόπον· καὶ οἱ ὄχλοι ἐπεζήτουν αὐτὸν καὶ ἦλθον ἕως αὐτοῦ καὶ κατεῖχον αὐτὸν τοῦ μὴ πορεύεσθαι ἀπ᾽ αὐτῶν.

facta autem die egressus ibat in desertum locum et turbae requirebant eum et venerunt usque ad ipsum et detinebant illum ne discederet ab eis.

Questo brano somiglia ad un altro profetico: «Io la sedurrò, la ricondurrò al deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Si compie l’annuncio della visita della sposa da parte dello Sposo. Cos’altro è necessario se Dio stesso è con il Suo popolo?

Meravigliare (ἐκπλήσσω ekplēssō)

Coloro che l’ascoltavano si meravigliavano del Suo insegnamento, perché parlava con autorità. (Lk 4,32)

καὶ ἐξεπλήσσοντο ἐπὶ τῇ διδαχῇ αὐτοῦ, ὅτι ἐν ἐξουσίᾳ ἦν ὁ λόγος αὐτοῦ.

Et stupebant in doctrina eius, quia in potestate erat sermo ipsius.

Fin dall’inizio San Luca concentra la nostra attenzione sulla potenza e sulla bellezza della Parola di Dio. Oggi sottolinea il dinamismo della Parola di Dio. Ciò che Gesù dice e come Lo dice suscita una reazione di stupore. Il pubblico è rimasto colpito dallo stupore. Forse è per questo che quando qualcuno racconta l’esperienza della lettura della Sacra Scrittura, dice di essere stato “colpito” da una frase, da un pensiero. Infatti, le parole di Gesù portano dentro di sé la potenza del Suo Spirito. Sono, come scrive l’evangelista, en exusia, cioè in ciò che è dell’essenza del Figlio di Dio, il Messia.