Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. (Ger 20,8)
כִּֽי־מִדֵּ֤י אֲדַבֵּר֙ אֶזְעָ֔ק חָמָ֥ס וָשֹׁ֖ד אֶקְרָ֑א כִּֽי־הָיָ֨ה דְבַר־יְהוָ֥ה לִ֛י לְחֶרְפָּ֥ה וּלְקֶ֖לֶס כָּל־הַיֹּֽום׃
Quia quotiescumque loquor, vociferor, iniquitatem et vastitatem clamito; et factus est mihi sermo Domini in opprobrium et in derisum tota die.
Obbrobrio (חֶרְפָּה ḥerpâ), in ebraico questo sostantivo deriva dal verbo ḥrp, che significa “insultare”, “tormentare”, “mancanza di rispetto”, ed è l’opposto del verbo kbd, che significa “essere riconosciuto, onorato”. Si noti che il significato fondamentale della radice ḥrp è “essere acuto, tagliente”. Il significato finale del sostantivo חֶרְפָּה (ḥerpâ) è dato dal contesto in cui ricorre, quindi, può assumere varie sfumature del significato basilare: “insulto”, “scherno”, “disonore”.
La prima lettura della Liturgia di oggi (Ger 20,7-9) presenta il profeta Geremia che sperimenta “l’obbrobrio” (חֶרְפָּה ḥerpâ) e “lo scherno” (קֶלֶס qeles) a causa della Parola del Signore che predica. Geremia vuole liberarsi da questa situazione, per questo decide di smettere di parlare nel Nome del Signore: “Ma poi – come dice lui stesso – essa ha cominciato a consumare il mio cuore come un fuoco che arde nel mio corpo. Ho cercato di reprimerlo, ma non potevo” (v. 9). Infine, Geremia rimarca che: “Ma il Signore è con me come un potente eroe; perciò, i miei persecutori cesseranno e non prevarranno” (v. 11) e aggiunge che saranno loro a essere ricoperti di vergogna eterna. È necessario ricordare l’inizio della lettura, in cui Geremia confessa: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre, sei più forte e hai prevalso”, e quindi il profeta, in definitiva, rimette tutto nelle mani del Signore – “il potente”.
Gesù si trova in una situazione simile a quella di Geremia nel brano evangelico di oggi (Mt 16,21-27). Consapevole delle sofferenze che subirà da parte “degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi”, condivide la sua situazione con i suoi discepoli. La reazione di Pietro rivela la sua mentalità del tutto umana e, come Geremia, il suo desiderio di evitare insulti e sofferenze. Gesù, invece, deciso, vede Pietro come un “ostacolo”, perché Pietro “non pensa secondo Dio, ma in termini umani”.
Anche noi viviamo situazioni simili, “taglienti”, che ci feriscono, e forse il nostro primo impulso sarebbe quello di scappare da esse, ma non tutte le situazioni sono un problema da risolvere. Spesso sono un’esperienza da vivere e allora la nostra forza può essere soltanto la potenza di Dio. Questo non significa che dobbiamo esporci alla sofferenza, anzi, abbiamo bisogno della forza di Dio, non dell’uomo, quindi, come dice Paolo nella seconda lettura di oggi, non possiamo imitare questo mondo, ma, come Geremia o Pietro, abbiamo bisogno di una trasformazione e rinnovamento della mente affinché possiamo “conoscere ciò che è buono, ciò che è gradito a Dio e ciò che è perfetto” (Rm 12,2).