La Parola

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per moltiplicare la gioia

Grudzień 2022

Nuovo (καινός kainos)

Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito. (1Gvn 2,7)

Ἀγαπητοί, οὐκ ἐντολὴν καινὴν γράφω ὑμῖν, ἀλλ’ ἐντολὴν παλαιὰν ἣν εἴχετε ἀπ’ ἀρχῆς· ἡ ἐντολὴ ἡ παλαιά ἐστιν ὁ λόγος ὃν ἠκούσατε.

carissimi non mandatum novum scribo vobis sed mandatum vetus quod habuistis ab initio mandatum vetus est verbum quod audistis.

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Più veloce (τάχιον tachion)

Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. (J 20,4)

ἔτρεχον δὲ οἱ δύο ὁμοῦ· καὶ ὁ ἄλλος μαθητὴς προέδραμεν τάχιον τοῦ Πέτρου καὶ ἦλθεν πρῶτος εἰς τὸ μνημεῖον.

Currebant autem duo simul, et ille alius discipulus præcucurrit citius Petro, et venit primus ad monumentum.

In principio era La Parola.

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Preoccupare (μεριμνάω merimnaō)

E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire. (Mt 10,19)

ὅταν δὲ παραδῶσιν ὑμᾶς, μὴ μεριμνήσητε πῶς ἢ τί λαλήσητε· δοθήσεται γὰρ ὑμῖν ἐν ἐκείνῃ τῇ ὥρᾳ τί λαλήσητε.

Cum autem tradent vos, nolite cogitare quomodo aut quid loquamini; dabitur enim vobis in illa hora quid loquamini.

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Salvezza (יְשׁוּעָה yešûʽâ)

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». (Is 52,7)

מַה־נָּאו֨וּ עַל־הֶהָרִ֜ים רַגְלֵ֣י מְבַשֵּׂ֗ר מַשְׁמִ֧יעַ שָׁלֹ֛ום מְבַשֵּׂ֥ר טֹ֖וב מַשְׁמִ֣יעַ יְשׁוּעָ֑ה אֹמֵ֥ר לְצִיֹּ֖ון מָלַ֥ךְ אֱלֹהָֽיִךְ׃ 

Quam pulchri super montes pedes annunciantis et prædicantis pacem: annunciantis bonum, prædicantis salutem, dicentis Sion: Regnabit Deus tuus!

Salvezza (יְשׁוּעָה yešûʽâ), in ebraico il significato fondamentale di questo sostantivo è “aiuto”, “difesa”, “soccorso”, ed appunto “salvezza”. Deriva dal verbo yšʽ, che significa “essere salvato”, “essere aiutato” e anche “lasciarsi aiutare”. Vale la pena notare che יְשׁוּעָה (yešûʽâ) è il nome di Gesù in ebraico. 

Nella prima lettura della Natività del Signore (Isaia 52,7-10), sentiamo questo sostantivo due volte: la prima volta, quando il profeta parla del messaggero della buona novella che annuncia la pace, la felicità e la “salvezza” (yešûʽâ), poi alla fine, quando annuncia che tutti i confini della terra vedranno la “salvezza” (yešûʽâ) del nostro Dio. Molto spesso pensiamo alla salvezza come qualcosa che dobbiamo guadagnare, ma al contrario, è un puro dono che non possiamo guadagnare in alcun modo. Quando siamo intrappolati e chiediamo aiuto perché stiamo morendo o siamo bloccati, significa che desideriamo e abbiamo davvero bisogno di aiuto e lo stiamo aspettando, sperando che qualcuno ci ascolti. A questo punto sarebbe ridicolo pensare che qualcuno venga in nostro soccorso perché ce lo meritiamo. Spesso impostiamo la nostra relazione con Dio sulla falsa convinzione che dobbiamo guadagnarci il suo amore e la sua salvezza, quando tutto ciò di cui abbiamo bisogno è semplicemente l’accoglienza del dono. Ciò significa che noi possiamo solo ricevere e accogliere la “salvezza” (yešûʽâ). Chi non sarà aiutato (yešûʽâ)? Solo chi, nel suo orgoglio, e con mancanza di realismo, pensa di sfuggire alla morte e non ha bisogno di un Salvatore (Yesûʽâ), Gesù. Ma Isaia oggi ci fa gridare di gioia, perché il Salvatore atteso sta arrivando. 

Nel brano evangelico di S. Giovanni (Gv 1,1-18), leggiamo della luce che risplende nelle tenebre e del Verbo che viene nel mondo, ma il mondo che è stato fatto per mezzo del Verbo non lo riconosce: «Egli venne in casa sua e i suoi non lo hanno accolto». Ma noi possiamo non accettare il Salvatore? Sì, la scelta è nostra. Il Vangelo ci dona la meravigliosa promessa che la Parola “ha dato il potere a tutti coloro che l’hanno accolta di diventare Figli di Dio”, per questo Natale significa non solo la nascita di Dio nella nostra carne, ma anche la nostra nascita in Dio.

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Toccò in sorte (λαγχάνω lanchanō)

Gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.

κατὰ τὸ ἔθος τῆς ἱερατείας ἔλαχεν τοῦ θυμιᾶσαι εἰσελθὼν εἰς τὸν ναὸν τοῦ ⸀κυρίου.

secundum consuetudinem sacerdotii, sorte exiit ut incensum poneret, ingressus in templum Domini.

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Segno (אוֹת ʼôṯ)

Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». (Is 7,10-11)

וַיּוֹסֶף יְהוָה דַּבֵּר אֶל־אָחָז לֵאמֹֽר שְׁאַל־לְךָ אוֹת מֵעִם יְהוָה אֱלֹהֶיךָ הַעְמֵק שְׁאָלָה אוֹ הַגְבֵּהַּ לְמָֽעְלָה׃

Et adiecit Dominus loqui ad Achaz dicens: “Pete tibi signum a Domino Deo tuo in profundum inferni sive in excelsum supra”. 

Segno (אוֹת ʼôṯ), è un termine ebraico tradotto dalla LXX con la parola greca σημεῖον (sēmeion), che si trova anche nel Nuovo Testamento. In termini funzionali, אוֹת (ʼôṯ) indica un oggetto, un fatto o un evento in cui si dovrebbe riconoscere, discernere, ricordare o percepire intuitivamente qualcosa di credibile. L’aspetto più importante del segno (אוֹת ʼôṯ) non è il suo carattere straordinario e sensazionale, anche se presente. La sua funzione è quella di impartire conoscenza o incoraggiare una risposta nel destinatario. I segni possono essere compiuti da persone oppure si celano negli eventi, ma comunque provengono sempre da Dio e indicano la sua potenza e il suo agire. Quando Dio fa una promessa o esige qualcosa, a volte dà un segno che garantisce la sua parola. L’uomo, invece, non può pretendere un segno da Dio, però può chiederlo.

Nella lettura odierna del profeta Isaia (7,10-14), אוֹת (ʼôṯ) appare all’inizio e alla fine del dialogo tra il profeta stesso e il re Acaz, creando un’inclusione. Qual è questo segno che Dio invita Acaz a chiederglielo, e invece lui, nella sua ipocrisia, lo rifiuta e giura che non lo chiederà per non mettere Dio alla prova? La risposta a questa domanda sta nella conoscenza della storia di Israele. Dio fece una promessa al re Davide che non sarebbe mai mancato un discendente nella sua dinastia.Ai tempi di Acaz, re di Giuda, la dinastia davidica era in pericolo a causa dei re stranieri nemici che pianificavano un’invasione al regno di Giuda e di rovesciare la dinastia davidica. Il re Acaz invece di sostenere il popolo, confidando in Dio e nelle sue promesse, cercava accordi umani con i nemici davanti ai quali, inoltre, tremava di paura come “un albero al vento” (Is 7,2). Di fronte all’arroganza di Acaz, Isaia profetizza che il Signore stesso darà il segno alla casa di Davide: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele” (v.14). Così, Dio stesso assicurò la continuità della dinastia davidica per la sua promessa, e perché era dalla sua stirpe che in futuro sarebbe nato il Messia. 

Quando, dopo secoli di turbolenta storia di Israele, la venuta del Messia viene annunciata in sogno a Giuseppe, discendente di Davide (Mt 1,20), l’evangelista Matteo assicura il lettore che “questo avvenne perché la parola del Signore, detta dal profeta, si adempisse: ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi”. Vale la pena notare che l’Emmanuele – Dio con noi, non solo inizia il Vangelo di Matteo, ma compare anche nella sua ultima frase pronunciata dal Signore Risorto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

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Lampada (λύχνος lychnos)

Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. (Gv 5,35)

ἐκεῖνος ἦν ὁ λύχνος ὁ καιόμενος καὶ φαίνων, ὑμεῖς δὲ ἠθελήσατε ἀγαλλιαθῆναι πρὸς ὥραν ἐν τῷ φωτὶ αὐτοῦ.

Ille erat lucerna ardens, et lucens. Vos autem voluistis ad horam exultare in luce eius.



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Aspettare (προσδοκάω prosdokaō)

Venuti da Lui, quegli uomini dissero: Giovanni il Battista ci ha mandati da Te per domandarti: Sei Tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? (Lc 7,20)

παραγενόμενοι δὲ πρὸς αὐτὸν οἱ ἄνδρες εἶπαν, Ἰωάννης ὁ βαπτιστὴς ἀπέστειλεν ἡμᾶς πρὸς σὲ λέγων, Σὺ εἶ ὁ ἐρχόμενος ἢ ἄλλον προσδοκῶμεν;

cum autem venissent ad eum viri dixerunt Iohannes Baptista misit nos ad te dicens tu es qui venturus es an alium expectamus?

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Pentirsi (μεταμέλομαι metamelomai)

E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli. (Mt 21,32)

ἦλθεν γὰρ Ἰωάννης πρὸς ὑμᾶς ἐν ὁδῷ δικαιοσύνης, καὶ οὐκ ἐπιστεύσατε αὐτῷ, οἱ δὲ τελῶναι καὶ αἱ πόρναι ἐπίστευσαν αὐτῷ· ὑμεῖς δὲ ἰδόντες οὐδὲ μετεμελήθητε ὕστερον τοῦ πιστεῦσαι αὐτῷ.

Venit enim ad vos Ioannes in via iustitiæ, et non credidistis ei. publicani autem, et meretrices crediderunt ei: vos autem videntes nec pœnitentiam habuistis postea, ut crederetis ei.

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Quale (ποῖος poios)

Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità? (Mt 21,23)

Καὶ ἐλθόντος αὐτοῦ εἰς τὸ ἱερὸν προσῆλθον αὐτῷ διδάσκοντι οἱ ἀρχιερεῖς καὶ οἱ πρεσβύτεροι τοῦ λαοῦ λέγοντες· ἐν ποίᾳ ἐξουσίᾳ ταῦτα ποιεῖς:; καὶ τίς σοι ἔδωκεν τὴν ἐξουσίαν ταύτην;

Et cum venisset in templum, accesserunt ad eum docentem, principes sacerdotum, et seniores populi, dicentes: In qua potestate hæc facis? Et quis tibi dedit hanc potestatem?



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Vedere (רָאָה rāʼâ)

Fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. (Is 35,2)

פָּרֹחַ תִּפְרַח וְתָגֵל אַף גִּילַת וְרַנֵּן כְּבוֹד הַלְּבָנוֹן נִתַּן־לָהּ הֲדַר הַכַּרְמֶל וְהַשָּׁרוֹן הֵמָּה יִרְאוּ כְבוֹד־יְהוָה הֲדַר אֱלֹהֵֽינוּ׃ ס

Germinet et exsultet laetabunda et laudans. Gloria Libani data est ei, decor Carmeli et Saron; ipsi videbunt gloriam Domini, maiestatem Dei nostri.

Vedere (רָאָה rāʼâ), questo verbo in ebraico deriva dalla radice rʼh e ha molti sinonimi che esprimono la percezione della realtà attraverso la capacità di vedere. רָאָה (rāʼâ) in ebraico significa anche “guardare”, “esaminare”, “osservare”, “percepire”, “scorgere”, “sperimentare”, “far caso”, “conoscere”. A differenza di altri verbi di percezione vedendo, רָאָה(rāʼâ) descrive il processo di vedere, dove l’esperienza sensoriale e la percezione sono un’unica cosa. cosa. L’uomo vede quello che guarda e ha questa percezione. È interessante, però, che la riflessione che avviene nell’atto stesso della percezione sia la consapevolezza, per cui il verbo רָאָה (rāʼâ) è sinonimo del verbo יָדַע (jādaʽ) “conoscere”. Infatti, l’occhio guarda ciò che è in verità.

Il profeta Isaia, nella prima lettura di oggi, prefigura il ritorno degli israeliti dall’esilio babilonese a Sion. Gli esuli, come gli israeliti liberati dalla schiavitù di Egitto, attraverseranno il deserto, la “terra arida” dove non cresce nulla. Tuttavia, questo deserto si trasformerà per loro in un giardino pieno di vita. In questo deserto, dice il profeta, sperimenteranno la presenza di Dio: “Vedranno (רָאָה rāʼâ) la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio” (Is 35,2). Si può dire che gli esuli “scorgeranno” l’intervento di Dio, che li farà uscire dalla Babilonia e li condurrà a Gerusalemme, pieni di felicità. In questo senso, “i ciechi vedranno e gli orecchi dei sordi si apriranno” (v. 10). 

Nel Vangelo di oggi (Mt 11,2-11), Gesù risponde ai dubbi di Giovanni: “Dite a Giovanni quello che sentite e vedete” che i ciechi riacquistino la vista, gli zoppi camminino, ecc. Anche Giovanni Battista ha bisogno di “riacquistare” la vista per scorgere nell’attività di Gesù i segni del compimento delle profezie messianiche. Interessanti anche le domande di Gesù alla folla su Giovanni, nelle quali ritorna il verbo “vedere”: “Che cosa siete usciti a vedere nel deserto? … Che cosa siete andati a vedere? Un profeta?…” (vv.8-9). 

La realtà è tuttavia spesso complessa, allora il nostro sguardo si ferma alla superficie della realtà e ci lasciamo illudere dalle apparenze. Ci vuole davvero lo sguardo di fede per vedere (רָאָה rāʼâ), anche nel mondo che sembra un deserto difficile da attraversare, “la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio” (Is 35,2) e sperimentare La sua protezione e gioia perenne (Is 35,10).

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Opere (ἔργα erga)

E’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere. (Mt 11,19)

ἦλθεν ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου ἐσθίων καὶ πίνων, καὶ λέγουσιν· ἰδοὺ ἄνθρωπος φάγος καὶ οἰνοπότης, τελωνῶν φίλος καὶ ἁμαρτωλῶν. καὶ ἐδικαιώθη ἡ σοφία ἀπὸ τῶν ἔργων αὐτῆς. 

Venit Filius hominis manducans et bibens, et dicunt: “Ecce homo vorax et potator vini, publicanorum amicus et peccatorum!”. Et iustificata est sapientia ab operibus suis.

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Portare (φέρω ferō)

Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a Lui. (Lc 5,18)

καὶ ἰδοὺ ἄνδρες φέροντες ἐπὶ κλίνης ἄνθρωπον ὃς ἦν παραλελυμένος καὶ ἐζήτουν αὐτὸν εἰσενεγκεῖν καὶ θεῖναι αὐτὸν ἐνώπιον αὐτοῦ.

Et ecce viri portantes in lecto hominem, qui erat paralyticus: et quærebant eum inferre, et ponere ante eum.

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Insegnare (διδάσκω didaskō)

Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. (Mt 9,35)

Καὶ περιῆγεν ὁ Ἰησοῦς τὰς πόλεις πάσας καὶ τὰς κώμας, διδάσκων ἐν ταῖς συναγωγαῖς αὐτῶν καὶ κηρύσσων τὸ εὐαγγέλιον τῆς βασιλείας καὶ θεραπεύων πᾶσαν νόσον καὶ πᾶσαν μαλακίαν.

Et circuibat Iesus omnes civitates, et castella, docens in synagogis eorum, et prædicans evangelium regni, et curans omnem languorem, et omnem infirmitatem.

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