Al mio grido rispondimi, o Dio della mia giustizia; nell’angustia fammi largo; abbi pietà di me e ascolta la mia preghiera. (Sal 4,2)
בְּקָרְאִ֡י עֲנֵ֤נִי ׀ אֱלֹ֘הֵ֤י צִדְקִ֗י בַּ֭צָּר הִרְחַ֣בְתָּ לִּ֑י חָ֝נֵּ֗נִי וּשְׁמַ֥ע תְּפִלָּתִֽי׃
Cum invocarem, exaudivit me Deus iustitiae meae. In tribulatione dilatasti mihi; miserere mei et exaudi orationem meam.
Ἐν τῷ ἐπικαλεῖσθαί με εἰσήκουσέν μου ὁ θεὸς τῆς δικαιοσύνης μου· ἐν θλίψει ἐπλάτυνάς μοι· οἰκτίρησόν με καὶεἰσάκουσον τῆς προσευχῆς μου.
Allargare (רָחַב rāḥab) deriva da una delle radici più comuni in tutte le lingue semitiche. In ebraico è un verbo di stato, che nella sua forma base significa “essere ampio, largo” e nella coniugazione hifil significa “allargare, creare spazio liberto, spalancare”.
Il Salmo responsoriale di oggi (Sal 4,2) traduce רָחַב (rāḥab) con il verbo “innalzare”. La traduzione dell’intera frase ebraica è “Nell’angoscia mi hai dato sollievo”, che è una bellissima espressione di salvezza, di liberazione da una situazione di oppressione. Tuttavia, le espressioni ebraiche sembrano celare molta plasticità: “nell’oppressione hai ampliato il mio spazio” (בַּ֭צָּר הִרְחַ֣בְתָּ לִּ֑י). Dio spalanca lo spazio quando siamo pressati, sopraffatti da preoccupazioni, sofferenze e situazioni difficili. Lui, proprio in questo momento, allarga per noi lo spazio, lo rende più ampio. Tale azione di Dio, sperimentata dal Salmista, diventa per lui fonte di certezza che Dio esaudirà la sua preghiera, poiché lo ha liberato. Per questo confessa: “In pace mi corico e subito mi addormento, perché Tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare”.
Secondo il Vangelo di oggi (Lc 24), i discepoli di Gesù sperimentarono una tale azione di Dio, motivo per cui testimoniano coraggiosamente: “Voi avete ucciso l’autore della vita, ma Dio lo ha risuscitato dai morti, di cui noi siamo testimoni” (At 3). Quando gli apostoli incontrarono Gesù risorto e videro i segni delle ferite sul suo corpo risorto, lo riconobbero proprio dalle sue ferite.
Ognuno di noi porta le proprie ferite sul proprio corpo, ma possiamo supporre che, dopo la resurrezione del nostro corpo, esse saranno anche per noi il segno della nostra identità, il segno di riconoscimento che siamo noi… Quando guardiamo le nostre ferite da una prospettiva lontana nel tempo, possiamo spesso riconoscere, che esse sono state anche un segno di Dio che ci ha sollevati dalla nostra oppressione e ci ha “allargato” lo spazio per una vita nuova.
