La Parola

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per moltiplicare la gioia

Luty 2023

Riconciliare (διαλλάσσομαι diallassomai)

Lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. (Mt 5,24)

ἄφες ἐκεῖ τὸ δῶρόν σου ἔμπροσθεν τοῦ θυσιαστηρίου καὶ ὕπαγε: πρῶτον διαλλάγηθι τῷ ἀδελφῷ σου, καὶ τότε ἐλθὼν πρόσφερε τὸ δῶρόν σου.

relinque ibi munus tuum ante altare, et vade prius reconciliari fratri tuo: et tunc veniens offeres munus tuum.

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Fondazione (καταβολή katabolē)

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. (Mt 25,34)

τότε ἐρεῖ ὁ βασιλεὺς τοῖς ἐκ δεξιῶν αὐτοῦ· δεῦτε οἱ εὐλογημένοι τοῦ πατρός μου, κληρονομήσατε τὴν ἡτοιμασμένην ὑμῖν βασιλείαν ἀπὸ καταβολῆς κόσμου.

Tunc dicet rex his, qui a dextris eius erunt: Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi.

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Sposo (νυμφίος nymfios)

E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. (Mt 9,15)

καὶ εἶπεν αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς· μὴ δύνανται οἱ υἱοὶ τοῦ νυμφῶνος πενθεῖν ἐφʼ ὅσον μετʼ αὐτῶν ἐστιν ὁ νυμφίος; ἐλεύσονται δὲ ἡμέραι ὅταν ἀπαρθῇ ἀπʼ αὐτῶν ὁ νυμφίος, καὶ τότε νηστεύσουσιν.

Et ait illis Iesus: Numquid possunt filii sponsi lugere, quamdiu cum illis est sponsus? Venient autem dies cum auferetur ab eis sponsus: et tunc ieiunabunt.

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Seguire (ἀκολουθέω akolutheō)

Poi, a tutti, diceva: Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e Mi segua. (Lc 9,23)

Ἔλεγεν δὲ πρὸς πάντας· Εἴ τις θέλει ὀπίσω μου ἔρχεσθαι, ἀρνησάσθω ἑαυτὸν καὶ ἀράτω τὸν σταυρὸν αὐτοῦ καθ’ ἡμέραν, καὶ ἀκολουθείτω μοι.

dicebat autem ad omnes si quis vult post me venire abneget se ipsum et tollat crucem suam cotidie et sequatur me.

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Santo (קָדוֹשׁ qāḏôš)

Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. (Lv 19,2)

דַּבֵּ֞ר אֶל־כָּל־עֲדַ֧ת בְּנֵי־יִשְׂרָאֵ֛ל וְאָמַרְתָּ֥ אֲלֵהֶ֖ם קְדֹשִׁ֣ים תִּהְי֑וּ כִּ֣י קָדֹ֔ושׁ אֲנִ֖י יְהוָ֥ה אֱלֹהֵיכֶֽם׃

Loquere ad omnem cœtum filiorum Israel, et dices ad eos: Sancti estote, quia ego sanctus sum, Dominus Deus vester.

Santo (קָדוֹשׁ qāḏôš), questo aggettivo in ebraico deriva dalla radice qdš, la cui etimologia rimanda alla radice che significava “tagliare, dividere, separare”. Questo aggettivo è usato per descrivere aspetti del culto e dei suoi oggetti sacri, ossia consacrati. La traduzione greca di questa parola è ἅγιος (agios). Nell’Antico Testamento, l’aggettivo קָדוֹשׁ (qāḏôš) ricorre più spesso in Levitico (152 volte). 

La prima lettura di oggi è tratta proprio da questo Libro (Lv 19,1-2,17-18), e il suo centro è la chiamata di Israele alla santità: “Il Signore disse a Mosè: Parla a tutta la comunità degli Israeliti e di’ loro: Siate santi, poiché io sono santo, Signore tuo Dio!” È interessante, però, che dopo questa chiamata non ci sia un elenco di precetti rituali, ma ci sono le indicazioni etiche su ciò che riguarda il cuore umano: “Non odierai tuo fratello nel tuo cuore…, non cercherai vendetta… ma amerai il prossimo come te stesso. Io sono il Signore!” Le istruzioni di Dio a Israele spiegano il significato della chiamata: “Sii santo…!”. Sembra che non si tratti dello stato di santità, ma semplicemente di agire secondo il Signore, cioè di amare il prossimo per amore di Dio, per il rapporto con Lui. 

Parole molto simili appaiono nel Vangelo di oggi dalle labbra del Signore Gesù (Mt 5,38-48): “Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. C’è una differenza nell’espressione “perfetto”, che non è il greco ἅγιος (agios), cioè l’ebraico קָדוֹשׁ, ma il greco τέλειος (teleios), che significa “pieno”, “completo”, “perfetto” e ” maturo.” Entrambi i testi sono magnificamente citati da S. Pietro nella sua prima lettera quando dice: “Prendete come esempio il Santo, che vi ha chiamato. Sii santo come Egli in tutto ciò su cui metti la mano” (1 Pietro 1,15).

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Pregare (δέομαι deomai)

Diceva loro: La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. (Lc 10,2)

ἔλεγεν δὲ πρὸς αὐτούς· ὁ μὲν θερισμὸς πολύς, οἱ δὲ ἐργάται ὀλίγοι· δεήθητε οὖν τοῦ κυρίου τοῦ θερισμοῦ ὅπως ἐργάτας ἐκβάλῃ εἰς τὸν θερισμὸν αὐτοῦ.

Et dicebat illis: Messis quidem multa, operarii autem pauci. Rogate ergo dominum messis ut mittat operarios in messem suam.

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Osservare (שָׁמַר šāmar)

Tu hai promulgato i tuoi precetti perché siano osservati interamente. (Sal 119,4)

אַ֭תָּה צִוִּ֥יתָה פִקֻּדֶ֗יךָ לִשְׁמֹ֥ר מְאֹֽד

Tu mandasti mandata tua custodiri nimis.

Osservare (שָׁמַר šāmar), la radice ebraica šmr significa “osservare”, “custodire”, “vigilare”, “compiere”, “adempiere”, “rispettare” e “mantenere”, “fare qualcosa a fondo, fedelmente”. Nell’Antico Testamento, questo verbo è molto caro alla tradizione deuteronomista e ai testi da essa dipendenti. Il soggetto più comune del verbo שָׁמַר (šāmar) è l’uomo, sia come individuo che come collettivo, ma può essere sia Dio che il Suo messaggero. D’altra parte, il complemento di questo verbo può essere qualcosa di buono, un oggetto di valore. 

Nella Liturgia odierna, שָׁמַר (šāmar) compare nel Salmo responsoriale (Sal 119) e più volte in pochi versetti scelti, motivo per cui attira l’attenzione. Il Salmista esprime il desiderio di aver cura שָׁמַר (šāmar), cioè di osservare i comandamenti, gli statuti, le parole, gli insegnamenti e la Legge data all’uomo da Dio, perciò prega, chiedendogli: “Aprimi gli occhi, perché io consideri le meraviglie della tua legge… insegnami la via dei tuoi decreti… dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore”. È molto chiaro che non si tratta di adeguarsi formalmente a qualche codice di norme, ma di un rapporto di amore per Dio, di apprezzare la sua saggezza, che si esprime nelle sue istruzioni, che sono i comandamenti. L’ammirazione per Dio si esprime proprio in questa custodia, cura e vigilanza, custodendo anche la sua Legge come qualcosa di prezioso. 

Nel Vangelo di oggi (Mt 5,17), Gesù, come il Salmista, va dritto al cuore della questione dell’osservanza della Legge, che come dice Egli «non è venuto ad abolire, ma a dare compimento». Secondo Lui le vere scelte dell’uomo non si fanno esteriormente, con le azioni, ma nel cuore. È lì che risolviamo i nostri dilemmi e le azioni sono un’espressione di ciò, che nel cuore abbiamo scelto, in cui abbiamo posto il nostro compiacimento. Come dice la Sapienza del Siracide: Dio «ti ha posto dinanzi fuoco e acqua, là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,16-17).

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Riconoscere (ἐπιγινώσκω epiginōskō)

Appena scesi dalla barca, la gente Lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. (Mc 6,54n)

καὶ ἐξελθόντων αὐτῶν ἐκ τοῦ πλοίου εὐθὺς ἐπιγνόντες αὐτὸν περιέδραμον ὅλην τὴν χώραν ἐκείνην καὶ ἤρξαντο ἐπὶ τοῖς κραβάττοις τοὺς κακῶς ἔχοντας περιφέρειν ὅπου ἤκουον ὅτι ἐστίν.

Cumque egressi essent de navi, continuo cognoverunt eum: et percurrentes universam regionem illam, cœperunt in grabatis eos, qui se male habebant, circumferre, ubi audiebant eum esse.

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Gloria (כָּבוֹד kāḇôḏ)

Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. (Is 58,8)

אָ֣ז יִבָּקַ֤ע כַּשַּׁ֨חַר֙ אוֹרֶ֔ךָ וַאֲרֻכָתְךָ֖ מְהֵרָ֣ה תִצְמָ֑ח וְהָלַ֤ךְ לְפָנֶ֨יךָ֙ צִדְקֶ֔ךָ כְּבֹ֥וד יְהוָ֖ה יַאַסְפֶֽךָ

Tunc erumpet quasi mane lumen tuum, et sanitas tua citius orietur, et anteibit faciem tuam iustitia tua, et gloria Domini colliget te.

Gloria (כָּבוֹד kāḇôḏ), in ebraico deriva dalla radice kbd, che in senso fisico significa “peso” e in senso figurato “peso o importanza”, “significato”, nel senso spirituale di “onorato” e “rispettato”, “gloria e splendore”. Vale la pena notare che il sostantivo kābēd (“fegato”) deriva dalla stessa radice kbd. Il fegato insieme al cuore erano considerati gli organi più importanti del corpo. La traduzione greca usa coerentemente la parola “δόξα” o “gloria”. Nell’Antico Testamento, oltre ai suddetti significati, si può notare anche l’uso della parola כָּבוֹד (kāḇôḏ) nel senso di “potere e autorità”. 

Nella prima lettura di oggi (Isaia 58,7-10), il profeta ci invita a essere disponibili verso gli altri: “Dividi il tuo pane con l’affamato, riconduci a casa i poveri erranti, vesti gli ignudi che vedi e non voltare le spalle ai tuoi connazionali”. In che modo la parola כָּבוֹד (kāḇôḏ) – “gloria” – ha a che fare con questa esortazione? Enormi, perché “lo splendore e la gloria”, secondo il profeta Isaia, sono il risultato di tale disponibilità verso gli altri: “Allora la tua luce spunterà come l’aurora e presto fiorirà la tua salute. La tua giustizia ti precederà e la gloria del Signore ti seguirà”. Si noti, tuttavia, che il profeta parla della nostra “luce”, “salute” e “giustizia”, ​​in quanto artefici di bene, ma la consacrazione “vera”, la gloria che ci segue, non è nostra – viene dal Signore. Se la sua gloria ci segue, vuol dire che siamo noi a darne testimonianza nel mondo, con le nostre azioni, cioè siamo noi a portarla nel mondo. Noi seguiamo Dio nella sua generosità e la sua gloria ci protegge…, perché ci segue. 

Nel Vangelo di oggi (Mt 5,13-16), invece, la parola greca “δόξα” è usata nella forma verbale, quindi “lodare” (δοξάζω).Matteo dice che la nostra luce dovrebbe risplendere davanti alle persone in modo che quando vedranno le nostre buone azioni, “glorificheranno il Padre che è nei cieli”.

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Commuovere (σπλαγχνίζομαι splagchnizomai)

Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. (Mc 6,34)

καὶ ἐξελθὼν εἶδεν πολὺν ὄχλον, καὶ ἐσπλαγχνίσθη ἐπʼ αὐτοὺς ὅτι ἦσαν ὡς πρόβατα μὴ ἔχοντα ποιμένα, καὶ ἤρξατο διδάσκειν αὐτοὺς πολλά.

Et exiens vidit turbam multam Iesus: et misertus est super eos, quia erant sicut oves non habentes pastorem, et cœpit docere multa.

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Tenere (ἀφοράω aforaō)

Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. (Eb 12,2)

ἀφορῶντες εἰς τὸν τῆς πίστεως ἀρχηγὸν καὶ τελειωτὴν Ἰησοῦν, ὃς ἀντὶ τῆς προκειμένης αὐτῷ χαρᾶς ὑπέμεινεν σταυρὸν αἰσχύνης καταφρονήσας ἐν δεξιᾷ τε τοῦ θρόνου τοῦ θεοῦ κεκάθικεν.

aspicientes in Auctorem fidei, et consummatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio sustinuit crucem, confusione contempta, atque in dextera sedis Dei sedet.

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